Il confino è una lunga storia che si snoda dall'antica Roma al fascismo, comune alle due isole maggiori dell'arcipelago, che ha loro tolto a lungo la gioia, alterandone i colori e stravolgendole da luoghi sereni in scogli di durezza, conflitto tra libertà della natura e la costrizione della condizione umana violentata dalla politica.
I romani, unendo all'asprezza delle leggi l'irrinunciabile amore per la godibilità della vita, fecero delle isole un esilio dorato, attenuando la solitudine dei giorni d'inverno con la ricchezza degli ambienti, la rinuncia ai riti sociali con l'abbondanza dei servitori. Villa Giulia a Ventotene e la villa sulla collina della Madonna a Ponza furono i segni opulenti e tristi, fastosi e aridi di una libertà sottratta. Poi vennero i martiri del cristianesimo che riempirono le cronache di tre secoli e alimentarono a volte la trasformazione della storia in leggenda. Dopo una parentesi durata circa 13 secoli, Ponza e Ventotene conobbero di nuovo la "punizione" voluta dalla politica. I Borboni, difatti, nel 1820 fecero di Ponza "luogo di rilegazione", e, cinque anni dopo, Ventotene, oltre che ospitare condannati ebbe anche il "privilegio" di accogliere gente ivi inviata "per misura governativa". Doveva passare circa un altro secolo, prima che il fascismo trasformasse di nuovo le isole in luogo dell'emarginazione fisica del dissenso politico, con l'istituzione del confino di polizia, nel 1928. Ponza fu la prima sede e ospitò Giorgio Amendola, Lelio Basso, Pietro Nenni, Mauro Scoccimarro, Giuseppe Romita, Pietro Secchia, Umberto Terracini, e tanti altri, insieme ad africani. Il Bagno nuovo , l'edificio oggi sede delle scuole elementari e medie, alle spalle del municipio, e molte case private, accolsero gli esiliati. Era loro consentito muoversi in uno spazio ristretto, tra il tunnel di Sant' Antonio, i Guarini e la Dragonara.