Nella prima metà dell'Ottocento l'aspetto di Ponza non subisce molte trasformazioni rispetto al modello fissato dal progetto urbanistico settecentesco. Le uniche consistenti novità dei primi decenni del secolo riguardano, come abbiamo visto, il rafforzamento difensivo dell'isola. L'immagine che ce ne tramandano le due principali fonti ottocentesche, Tricoli e Mattej, mantiene ancora la fisionomia del paese voluta da Winspeare e Carpi.
Troviamo, infatti, spesso nelle precise descrizioni dei due eruditi - a distanza di quasi un secolo dalla fondazione della nuova colonia - i termini di un "nuovo paese" o di "recente costruzione". Le vedute del porto o delle Forna disegnate dal Mattej nel 1847 si possono a buon diritto considerare l'unico reportage sull'aspetto di Ponza nei suoi primi decenni di vita.
E' nella seconda metà del secolo che, a varie riprese, vengono tentate le prime radicali modificazioni dell'originaria struttura urbanistica del paese. Con un atto del 31 ottobre 1857, infatti, Ferdinando II di Borbone approva una serie di opere pubbliche a Ponza. In quegli anni era governatore politico dell'isola il Commendatore Gaetano D'Ambrosio, l'ultimo amministratore locale legato all'ancien regime prima dell'Unità d'Italia. I numerosi interventi previsti dal decreto governativo erano soprattutto dettati dall'incremento della popolazione sull'isola e dalla conseguente necessità di ampliarne e rimodernarne l'assetto urbanistico anche sulla base della crescente differenziazione sociale degli abitanti, fra i quali si era ormai formata una classe dirigente locale più agiata con esigenze ben diverse da quelle dei primi coloni sbarcati sull'isola nel 1768.
Il primo punto del programma governativo riguardava la costruzione di edifici di rappresentanza (palazzo municipale), di destinazione religiosa (una nuova chiesa parrocchiale e una cappella rurale a S. Maria), di utilità pubblica (il carcere e due nuovi cimiteri sia a Ponza che alle Forna).
Il secondo punto del progetto prevedeva la ristrutturazione della rete viaria del paese e il riammodernamento dell'area portuale. Questo ambizioso piano venne realizzato solo in parte e per lavori di piccola entità. Le uniche opere effettivamente costruite furono la strada "…detta della Madonna in lunghezza di più di mezzo miglio, tracciata spaziosa, e buon tratto…incassata di molto nell'erta collina per addolcirne il pendio, decorandola di laterali edifizi…" (Tricoli) e la cosiddetta strada Circea.Quest'ultima, realizzata sempre durante la gestione D'Ambrosio, "…mette capo in Santamaria per palmi 3866…come dai Fenici incavata comoda fra le viscere di tre montagne…era ignorata come interrata da una quindicina di secoli. Ora se ne attuava il disterro…impiegandovi al quotidiano lavoro non meno di 400 donzelle ed altrettanti garzoncelli…" (Tricoli). La strada è la stessa che oggi passa sotto i tre tunnel dalla spiaggia di S. Antonio per Giancos fino a S. Maria e il metodo di coinvolgimento collettivo utilizzato dal D'Ambrosio per far eseguire il disterro venne riutilizzato, come abbiamo visto, negli anni Quaranta dal parroco Dies per l'ampliamento della chiesa della SS. Trinità. Non venne invece eseguito il proseguimento della banchina del porto da Punta Bianca a Santa Maria né nessuna delle costruzioni pubbliche. Venne realizzato solo il nuovo cimitero di Ponza sulla collina della Madonna ma molto più tardi, sullo scadere del secolo.Spesso le costruzioni iniziali vennero interrotte senza essere mai condotte a termine. Il Tricoli, ad esempio, cita la chiesa di S. Giuseppe a S. Maria, per la quale nell'atto governativo del 1857, veniva approvata la prosecuzione dei lavori iniziati nel 1828.Venne invece effettivamente costruita solo nel 1895 grazie "all'elemosina degli Arcivescovi di Gaeta, del parroco e del popolo di Ponza e dei Forestieri" come ricorda la lapide dedicatoria. Un altro episodio simile è quello della chiesa di S. Antonio, la cui costruzione, iniziata nel 1858 di fronte al mare e a fianco della strada che va a Chiaia di Luna, venne interrotta due anni dopo. Per quarant'anni restarono in piedi i muri perimetrali fino a quando non venne comprata da un privato ed adattata ad abitazione ed a deposito di attrezzi navali.Oltre al ripristino dell'uso del telegrafo sulla cima del monte La Guardia (l'edificio oggi è completamente diroccato), con decreto del 24 marzo 1859 venne anche abolito l'impiego della lanterna sul promontorio della Madonna e ne venne costruita un'altra a spese della Finanza. E' il Faro della Guardia, un edificio rettangolare a due piani, che Sacchi e Bresciani rilevano come un "raro esempio di attrezzatura costiera del secolo scorso", uno dei più bei luoghi dell'isola.La maggior parte degli interventi architettonici ottocenteschi non riguardano tanto l'edilizia pubblica quanto quella privata. Già nel 1857 il Mattej notava il convivere a Ponza "del promiscuo antico e nuovo paese", che corrispondeva alla "duplice classificazione del ceto dei paesani il più agiato cioè e il più volgare..". Questa duplice classificazione si precisa col sorgere dei primi palazzi fatti costruire da quelle famiglie ponzesi che volevano sottolineare la loro raggiunta agiatezza. Il Tricoli cita, distinte dal "resto dell'abitato…fra le case notabili il Palazzo Tagliamonte, e l'elegante casina del Commendatore d'Ambrosio…Il Palazzo-pinto, Irollo, Jacono, Cimino e dei Germani D. Antonio e di Gennaro Vitiello". La lista degli edifici corrisponde all'elenco dei cittadini "notabili" del paese, discendenti dalle prime famiglie venute ad abitare l'isola. Sono tipici palazzotti di rappresentanza, a due o tre piani, con la facciata spesso decorata a stucco o dipinta a motivi vegetali o zoomorfi o con testine di putto. Tradizione fondata, raccontano le fonti orali, dalla presenza di artigiani napoletani o addirittura pugliesi sull'isola. Queste decorazioni "ricche", della facciata, spesso disposte a fregio tutto intorno all'edificio, sono una costante per tutto l'Ottocento fino agli anni Venti - Trenta del nostro secolo. Il modello architettonico del "palazzo" rappresentava la "casa ideale" che tutti gli emigrati ponzesi nei primi decenni del Novecento speravano di potersi costruire al ritorno sull'isola. I ponzesi le chiamavano, infatti "case americane" e si distinguono subito nel tessuto urbano di Ponza: il loro aspetto imponente contrasta, infatti, con le case bianche con il tetto a lamie incastrate attorno ai vicoli stretti, alle scale improvvise, alle discese e salite imprevedibili.
Non mancano, accanto a questa nascente architettura residenziale, gli edifici "curiosi", in linea con la cultura artistica del Romanticismo. Un esempio è il Belvedere esagonale del Commendatore D'Ambrosio, chiamato dal Tricoli "l'esagono del commendatore". Vi si arriva chiedendo il permesso di entrare nei giardini di una casa privata lungo la strada della Madonna.Per tutto l'Ottocento abbiamo soprattutto interventi isolati sia nell'edilizia pubblica che in quella privata. Manca, insomma, una regolare pianificazione urbanistica dell'isola. E' difficile perciò cogliere nell'immagine ottocentesca di Ponza una caratteristica dominante, un criterio - guida, così evidente, invece, nel "ben regolato" piano progettato da Winspeare alla fine del Settecento. L'unica eccezione è la costruzione del nuovo cimitero sul promontorio della Madonna nell'ultimo decennio del secolo, quando era sindaco Vincenzo De Luca. Il progetto per un nuovo cimitero era già stato deciso nel 1857, disposto in uno degli ultimi atti amministrativi del governo borbonico. La sua realizzazione molti anni più tardi, dopo l'Unità d'Italia ed in seguito al difficile inserimento di Ponza nella vita politica ed economica del nuovo Stato, è uno dei sintomi del relativo miglioramento della situazione dell'isola.Il nuovo cimitero diventa perciò il luogo in cui la Ponza post - unitaria vuole rappresentare il conquistato inserimento nella vita del paese, adeguandosi alle novità della cultura architettonica italiana della seconda metà dell'Ottocento. Nel clima di "risanamento" e "rappresentatività" che stava coinvolgendo in misura maggiore o minore tutte le città italiane dopo l'Unità, la "città dei morti" diventò uno dei luoghi deputati della "rappresentatività". Da servizio di utilità pubblica, separato dall'abitato per motivi di igiene come imponeva un decreto napoleonico fin dal 1804, il cimitero si trasforma nella seconda metà dell'Ottocento in un ritratto enfatizzato della "città dei vivi", dove l'accento è posto sulla monumentalità ottenuta attraverso il compromesso degli stili architettonici.Anche a Ponza il processo di trasformazione dal vecchio al nuovo cimitero assume caratteristiche simili a quelle delle altre città italiane: è in sostanza il passaggio dalla funzionalità e razionalità che aveva il camposanto nel piano urbanistico settecentesco all'esigenza di aulicità del paese "moderno".Nella riorganizzazione del cimitero venne mantenuta la primitiva collocazione sulla collina della Madonna, luogo ideale perché, per la sua conformazione geografica, era naturalmente separato dal paese, "un'isola nell'isola". Bisognò poi abbattere la Batteria Leopoldo e trasformare le grotte, già dormitori delle truppe, in cappelle sepolcreti, recintando il tutto con mura che sottolineassero la divisione fra "città dei vivi" e "città dei morti".L'ingresso del cimitero di Ponza è semplicissimo, a differenza delle magniloquente entrate dei grandi cimiteri delle capitali a Roma, a Genova, a Milano. Nel recinto delle mura una porta si apre di fronte alla cappella settecentesca progettata da Winspeare, elemento di congiunzione fra il vecchio e il nuovo cimitero. Di lì scendono verso il mare le "strade" della "città dei morti". Si intersecano ad angolo retto, una rete ordinata e perfetta di ascisse e ordinate che sembra voler contraddire la disposizione spontanea e disordinata dei vicoli del paese giù al porto, alle Forna, dovunque sull'isola. Il cimitero a Ponza, più ancora che il riflesso della "città dei vivi", sembra quasi il disegno utopistico di una "città ideale", una città che nella realtà non era stato possibile concretizzare.Ai lati delle "strade" le cappelle sepolcrali delle famiglie notabili si alternano alle semplici file di lapidi sovrapposte. Lo stile dominante è il neo - gotico. Assieme al convenzionale repertorio di archi acuti, bifore, colonne tortili, guglie indicati dagli architetti di fine secolo come il vocabolario di base per il "nuovo" stile, non mancano, nel cimitero di Ponza echi neo - rinascimentali nelle paraste scanalate, nei capitelli corinzi, negli archi a tutto sesto.L'adeguamento allo stile delle capitali convive però, a Ponza, con un linguaggio decisamente locale. In questa chiave si può leggere, infatti, la riutilizzazione come tombe delle grotte che già esistevano prima dei lavori per il nuovo cimitero: recupero volto a sottolineare l'importanza della grotta come struttura abitativa a Ponza da prima ancora della colonizzazione romana fino a quella borbonica.Nella decorazione delle cappelle, infine, troviamo un ricco repertorio di motivi desunti dal romantico e dal gotico e riproposti in una versione isolana del "Liberty": angeli con le mani giunte in preghiera entro mandorle ogivali, archetti che si intersecano come nel Duomo di Caserta Vecchia, palmette. Da questo repertorio attingeranno almeno fino agli anni Venti e Trenta del Novecento i maestri locali per le decorazioni in stucco delle facciate, per le balconate in ferro battuto.Nella memoria dei ponzesi è ancora viva l'eco di questa tradizione artigianale che ha lasciato una gran varietà di testimonianze in tutta l'isola. La decorazione è anzi forse il filo conduttore che ci permette di ricomporre l'immagine ottocentesca del paese di Ponza. E' un'immagine frammentaria che può comparire sopra una porta a S. Antonio o sotto il tetto di una casa salendo a Monte Guardia o su un tabernacolo a Le Forna. Un'immagine che solo nel cimitero acquista la concretezza e l'omogeneità di un progetto che abbraccia insieme urbanistica, architettura e decorazione.L'aspetto più attraente dell'isola erano però, anche nell'Ottocento, più le sue bellezze naturali che l'intervento dell'uomo. Ed è proprio quest'immagine che oggi rischiamo di perdere e che le fonti ottocentesche ci tramandano ancora intatta nella sua ricchezza e varietà.Le sagome così simili di Ponza e Palmarola, la loro reciproca vicinanza geografica sono, infatti, tuttora considerate una delle particolari attrattive del luogo. In entrambi, infatti, è possibile in ogni momento riconoscere, come riflessa in uno specchio, la forma dell'isola "sorella". Si ricrea così costantemente quello stato psicologico che spinge verso l'isola come luogo di evasione, di avventura, di ricerca dentro e fuori di sé senza allo stesso tempo mai dimenticare di essere già su un'isola, su una porzione di terra, cioè, separata dalla terraferma da un braccio di mare. I ponzesi sentono tutti fortemente il richiamo della propria "insularità" rispecchiato nella sagoma amica di Palmarola, l'isola dove si va a caccia, a pesca, in viaggio di nozze dove "…c'erano l'ontano il pioppo e il cipresso odoroso…e avevano i loro nidi uccelli dalle lunghe ali…che amano vivere lungo le rive del mare…e…si stendeva vigorosa con i suoi tralci….la vite domestica….". Anche per Palmarola, come per l'isola di Calipso, si può, infatti, tuttora affermare "era uno spettacolo che anche un immortale, a giungere qui, avrebbe guardato con meraviglia e viva gioia.." (Omero, Odissea).