Chi visse su queste isole i tremendi avvenimenti della seconda guerra mondiale, certamente non potrà dimenticare gli episodi drammatici dell'inverno 1944. Anche a Ponza come in altre località italiane si morì di fame nelle giornate tra il 26 febbraio e il 5 marzo 1944. 


Il fronte si era arrestato al Garigliano sin dalla fine di ottobre. Sulla costa vicina i Tedeschi ad Ischia e in Campania gli alleati Anglo Franco Americani. Il traffico si svolgeva con i motovelieri ponzesi tra Napoli, Ischia, Ventotene e Ponza. La nostra isola, come molti sanno, può soddisfare il fabbisogno della popolazione solo con la produzione del pesce; per il resto importa tutto dal continente. L'approvvigionamento, che era stato già molto precario nel periodo bellico precedente l'otto settembre '43, divenne caotico in quell'inverno a causa dell'occupazione. Tutte le zone occupate furono suddivise in governatorati affidati a corpi di polizia per lo più inglesi, che, svolgevano la funzione di governo con lo spirito di chi, trovandosi spaesato in terra straniera, si preoccupa soprattutto della propria salute. A Ponza avevamo il Commissario "ex" prefettizio, il quale dopo l'occupazione reggeva le sorti del paese solo in virtù di un successivo atto di riconoscimento da parte del governatore delle isole Pontine e Partenopee. Non sempre si trovava nei magazzini di Napoli la partita di viveri pronta, quando le scorte si andavano già esaurendo nell'isola. In quell'inverno il maltempo aggravò la situazione. Verso la metà di febbraio, una serie di tempeste a catena tenne Ponza isolata dal resto del mondo per quasi venti giorni. Logicamente mancò anche il pesce a causa della forzata inattività dei pescatori. Dopo una settimana d'isolamento le persone più deboli iniziarono ad accusare la fame. Qualche vecchio ammalato morì. Magri spettri umani s'aggiravano per la campagna, in cerca delle erbe, anche le più inimmaginabili (corse voce che alcuni avevano mangiato anche i nopali di fico d'India). Ai primi di marzo, quando la tempesta non accennava a diminuire, si videro sfilare una decina di cortei funebri. Ora morivano anche i bambini. I familiari dei morti non piangevano: erano muti, storditi e comunicavano a tutti uno squallido senso di vuoto, d'incolore e di atonico, lo spettro vivente della fame che ti ammazza senza farti male. Da Ponza partì un telegramma a firma di Don Salvatore Vitiello e del Comandante del Porto Cap. Di Cecca così concepito: "POPOLO PONZA MUORE FAME". La gente si affollò in chiesa ad implorare. Il tre marzo cominciò un triduo di preghiere a S. Silverio. "Al termine - scrive Don Luigi Dies, allora parroco - era domenica, avvertii che l'indomani avremmo celebrato la messa di ringraziamento conclusiva del triduo" e prosegue "….aggiunsi: del resto il proverbio dice: in un'ora Dio lavora". E il miracolo avvenne. Verso le sei e mezza di quella stessa sera, il suono festoso delle campane trasmise a tutti un senso di gioia. Tutti intuirono che era arrivato il mezzo con i viveri. I fatti erano andati così: il governatore, appena ricevuto il telegramma diede ordine di trasbordare su una grossa nave inglese i viveri che si trovavano da più di una settimana su due piccoli motovelieri ponzesi. Appena al primo accenno di miglioramento il capitano inglese Simpson doveva salpare dal porto d'Ischia per Ponza. Ma il tempo peggiorò. Si trovava ad Ischia l'armatore ponzese Antonio Feola, detto Totonno Primo. Grazie alla sua diplomazia con il governatore, Ponza era riuscita a strappare grandi vantaggi, ed ora quest'ultima disposizione era frutto dei suoi buoni uffici. Animato da gran coraggio e dall'intima gioia che provava nel fare il bene dell'isola, Antonio Feola salì sull'unità inglese che aveva completato il carico e disse al capitano di salpare. Il valente cap. Simpson lo guardò con il sorriso del vero inglese che osserva un pazzo, e per accontentarlo in parte volle fare la mossa di salpare sicuro di rientrare in porto ai primi convincenti colpi di mare. Una popolazione moriva di fame, un altro giorno sarebbe costato la fine di una cinquantina di vite; bisognava osare. Appena fuori del porto d'Ischia, Antonio Feola, spalleggiato da altri ponzesi, quasi con atto di amichevole violenza assunse la guida del timone, affidando al timido capitano una bottiglia di whisky come per sollevarlo. Come fecero ad arrivare nel porto di Ponza fu un miracolo vero e proprio. A seguito di ciò il 5 marzo divenne una solennità civica dell'isola e ogni anno fu celebrata la messa solenne di ringraziamento.